Questo è un appello a me stesso e a tutti i giovani e meno giovani che si sentiranno chiamati in causa.
Un appello a cercare, scoprire, comprendere e conservare la memoria.
La memoria è qualcosa che può essere morto, senza alcun interesse, fine a se stesso; oppure vivo, sempreverde, luogo di emozioni e insegnamenti, luogo del lungo cammino della storia.
La memoria può riguardare il mondo intero come un solo atto o un solo pensiero di un’unica vita vissuta.
All’inizio del terzo millennio, ci troviamo ad aver superato un secolo dove la vita del mondo è mutata più che in tutti i secoli di storia umana precedenti.
Stili di vita più o meno caratterizzati nello stesso modo che hanno perdurato per oltre due millenni, col Novecento si sono trasformati per sempre. I nonni e le prozie con ottanta inverni alle spalle, che oggi troviamo in casa davanti alla televisione, sull’autobus, alcuni al computer o al cellulare, sono cresciuti da bambini probabilmente in campagne con orti, animali, senza frigorifero, senza elettrodomestici, lavando e cucendo a mano, illuminandosi con lampade, riscaldandosi col fuoco, spostandosi su carrozze (forse già di treno, è vero, ma pur sempre carrozze).
C’è tutto un fascino e una sapienza e un’armonia nel vivere umano prima dell’avvento dei grandi boom economici, delle grandi tecnologie, del grande consumismo, un fascino che le ultime generazioni vive ad oggi sanno raccontare, e che noi nuove generazioni spesso facciamo fatica solo a intuire.
C’è un insieme di memorie che non sono quelle delle grandi enciclopedie web, dei grandi documentari e dei libri di storia, ma – molto più vicine a noi – sono quelle di vite piccole e grandi mai fotografate, mai davvero riscoperte, sono aneddoti della singola persona, emozioni e quotidianità trascurate, che nascondo una forza immensa, perchè ci ricordano che certe cose si possono fare in modo diverso. Che certe cose di quello che chiamiamo “progresso“, forse – nel pieno di crisi intrinseche al sistema da noi creato e avallato – possono essere scrostate via: non erano poi tanto un aiuto dell’uomo verso il benessere.
Che esiste un benessere primario da ricuperare, prendendo pezzettini qui e là dalle civiltà, culture, epoche della storia dell’uomo, ovvero il benessere dell’armonia umana con la natura e con se stessi.
In nome di quel benessere, vera via verso una comunità umana che miri a ciò che è “bene” e ciò che è “giusto” per “tutti”, possiamo farci aiutare da queste memorie che hanno attraversato i cambiamenti del secolo a riscoprire la possibilità di una semplicità che dà sapore alla vita e lascia spazio all’incontro.
Dire ciò non significa desiderare di tornare indietro, perchè “si stava meglio quando…”. Significa cercare la libertà di costruire il proprio vivere, traendo da epoche e stili diversi ciò che di sano è stato raggiunto e vissuto, unendo le perle nascoste in ogni luogo e tempo.
Questo è dunque l’impegno che chiedo a me stesso e propongo a chi vorrà: incontriamo i nostri anziani, parenti o amici, ogni persona che sappiamo ha qualcosa da raccontare. Fermiamo la nostra corsa quotidiana per ascoltarli con sincerità. Raccogliamo le storie che ci emozionano, che ci suscitano il desiderio di condividerle. E fissiamole, i modi e i supporti sono tanti oramai, ma fissiamole, per conservarle.
Perchè viva la memoria. Perchè troviamo la nostra strada, con la libertà di sceglierne il singolo passo.
Giandil
[foto di Benedetta Saccomanno]
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