Era una sera di quelle in cui cercavamo la solitudine, il silenzio, la notte. Dietro a passi inquieti, fino a una pietra su cui sederci, dall’altra parte della riva del fiume. Nel bosco fermo respiravamo i rumori nascosti e il profumo del prato. Stare, restare, non serviva altro. Guardare da lontano la vita che scorre, laggiù nella casa, tra luci e schiamazzi e giochi. Guardare. Scambiavamo poche parole e qualche discorso, di quelli che vanno giù a fondo, che ti rimangono una vita intera, o di quelli così leggeri da farti assaporare la libertà del presente, sulla riva del fiume.
Simone passeggiava verso di noi lentamente, una sagoma scura nel sentiero sotto i pini. La lucina della sua sigaretta ammiccava timida e si rifletteva nei suoi occhi insieme al resto del cielo. Aveva capito tutto di noi. Cercava quello stesso momento di calma, di altrove, di ascolto. Parlavamo di musica, e cantavamo Knockin’ on heaven’s door e Wish you were here. Parlavamo del mondo e lo sentivamo vivere attorno a noi, sussurrare nell’acqua. Rincorrevamo i sogni e i pensieri profondi, lì sotto le stelle, in riva al fiume.
Conoscendolo tra quei monti avevamo capito che era un viandante dalla volontà di ferro, consapevole, riservato, capace di “stare”. Una persona accogliente, presente. Lo avevamo guardato arrivare come un corpo estraneo, misterioso, ma alla fine siamo ritornati a casa insieme a lui, come se fosse naturale averlo lì con noi, nella notte del bosco, col vento in faccia a risalire la corrente, dall’altra parte della riva del fiume.
Ciao Simone, e grazie. Ci vediamo lì.
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