di Alessia Traverso
Una notte all’aeroporto
Colpisce lo sguardo degli uomini, penetrante, intenso, senza rispetto. Sarà l’impressione del pregiudizio? Ci spostiamo al terminal 3 dove un simpatico gendarme dotato di baffoni neri ci controlla i documenti, parlando e ridendo (di noi) bonario in un inglese incomprensibile. I check-in sono chiusi. Un altro giovane militare ci aiuta nel capire dove siamo e quanto aspettare. Sette ore in tentativi di sonno, puntatine al bagno delle donne – indicato dalla fotografia di una perfetta ragazza in sari sgargiante, che stride fortemente con il nostro aspetto arruffato e abbruttito dall’infinito viaggio. Occhi gonfi, assenza di sonno e aria condizionata che ci congela le ossa. “Una sigaretta?” “Si, dai.” Sono le due del mattino, io e la Ro ci avventuriamo fuori per prendere la famosa “boccata d’aria”. Illuse. La sensazione che si vive uscendo dall’aeroporto è quella di respirare acqua. Ci saranno una trentina di gradi ma noi boccheggiamo come se fossimo in un bagno turco non richiesto. Odore di inquinamento e rumori di aeroporto. Umidità. A questo punto indecisa su quale delle alternative preferisco, rientro e provo ad addormentarmi. Cinque donzelle accampate per terra sul pavimento piastrellato e scivoloso della scatola sospesa tra arrivi e partenze, nel limbo ghiacciato del tempo che passa e non passa scandito dal ticchettio fastidioso della lancetta che sembra prenderci in giro.
La profezia era la scusa. La verità è che uno a 55 anni ha una gran voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare al mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c’è la luna…questa era la mia occasione non potevo lasciarmela scappare.
(Tiziano Terzani)