di Alessia Traverso
Sul treno direzione Calcutta. Forse questa volta sono più pronta e meno pronta insieme. Sicuramente le riflessioni, i confronti, il mio cercarmi e lentamente trovare una mia più vera dimensione mi hanno aiutata molto. Ma l’India non è un paese facile. Cercare di entrarci, anche in sordina, per un occidentale significa abbandonare i porti sicuri delle certezze della nostra cultura e lasciarsi andare e travolgere da dinamiche che sfuggono alla propria comprensione. E’ difficilissimo, fa paura e genera incomprensioni da cui una frustrazione sorda alle ragioni di questa cultura eclettica e lontana. Questi giorni a Calcutta sono importanti per provare a cogliere di più, di più davvero.
Mi sento come intasata, riempita di immagini, odori e sensazioni. Troppe, troppo forti, ingestibili. Parlo bene del distinguere bellezza e orrore ma qui sembra impossibile. Le due componenti del mondo qui camminano l’una affianco all’altra, a braccetto nella contraddizione. Ossimoro tipico di questi paesi emergenti con una rapidità folle, dove chi resta indietro non ha scampo. Miseria. Lusso. Spazzatura. Religioni. Contrasti. Esterni. Interni.
Un’immagine emerge potente tra quelle di ieri. Un’uomo solo, smagrito, immobile. Sul petto nudo spicca un medaglione. Uno straccio logoro ai fianchi, grigio come i lunghi capelli e la barba ispida. Seduto tra l’immondizia in una posizione innaturale. Immobile. Lo sguardo fisso di fronte a sé, incurante del caos circostante, dei clacson insistenti, dei milioni di incidenti rischiati. Incurante della vita e del mondo. Mi chiedo quale pensiero gli attraversi la mente. L’immagine svanisce nascosta da un camion di passaggio. La jeep avanza, altre immagini, infiniti colori e volti confusi. Uno è rimasto. Un mendicante di Ranchi. In lui tutti.
Sul treno
Siamo in seconda classe, accettabile per viaggiare di giorno. Pericolosa la notte. Caldo. Odore di umanità. Le porte del treno rimangono aperte, sbattacchiando ad ogni oscillazione. Venditori di chai, cibi strani, giornali e noccioline, con le loro piccole bilance. Da questa mattina sono passati di qui, nel corridoio tra i sedili stretti, molti mendicanti, alcuni trascinandosi con le braccia. Dal finestrino bimbi e anziane donne chiedono monete cercando di intenerirmi. Ma ora, l’ultima immagine vale per tutte. Un sorriso bianco, due codini corvini e un vestitino rosso. Una bimba sui sette anni inizia a cantare, danza un pò impacciata, bellissima e triste. Dietro di lei, nello spazio tra le due porte del vagone, la madre con il fratellino più piccolo legato davanti accompagna le movenze della piccola con il tamburo. Lei inizia a contorcersi per terra tra lo sporco. Uno spettacolo grottesco, disarmante. Non poter fare nulla. Qualcuno getta una moneta. Noi non possiamo, è sconsigliato, pericoloso e inutile. Ma fa rabbia, fa schifo. Chissà come vivono, dove… Cosa farà da grande? Saprà cosa vuol dire essere felice? Come lei quanti?