di Alessia Traverso
Mattinata difficile. Forse la più difficile da quando siamo qui. Ci siamo spostate in un’altra casa di preti dove vengono accuditi alcuni disabili e dove si è allestita una piccola “scuola” per i bambini di strada. Alcuni ci stringono la mano con vigore, altri ci osservano con sguardi vuoti. Qualche sorriso. Un ragazzone intona allegro una canzone. Due sono ciechi e il ragazzo down gestisce il gruppo, a modo suo. Noi osserviamo un po’ da lontano, senza sapere cosa si può fare; io senza sapere come avvicinarmi a loro.
Rubo uno scatto. Il ragazzo down si avvicina ad un uomo seduto sulla sedia a rotelle, paraplegico. Lo controlla per vedere se è in ordine. Gli abbottona i bottoncini dei polsini della camicia. Tenerezza.
Bimbi seduti su alcune stuoie, fuori. La loro classe ha il soffitto di cielo e le pareti di vento. Aspettano il prete che insegna loro a scrivere i numeri e le lettere. Bambini di tutte le età, presi per strada, da famiglie senza casa che non si possono permettere la retta della scuola pubblica.
Torniamo nella casa per aiutare le suore a cucire i bottoni delle camice, prima di rientrare.
“Non ce la fanno
i belli non resistono
sono le farfalle
sono le colombe
sono i passeri,
non ce la fanno”
(Charles Bukowski)
I belli oggi per me sono gli ultimi di qui. Sono Rohit con il suo dolce sorriso. Sono i malati incontrati oggi, incompresi e abbandonati fuori, accolti e amati dentro… incompresi da me, limitata. Sono i bambini di strada di Ranchi, di Calcutta, del mondo. E’ quel cucciolo di Varanasi, di fronte al tempio di Budda, così piccolo e magro, in braccio alla sorella. E’ Butoy che non ce l’ha fatta. E’ chi lotta ogni giorno contro il mondo, contro se stesso, per la vita, per la sopravvivenza. Chi sommerso e chi salvato. Chi non ce la fa.