di Valentina Benedictis
Ho sempre avuto un debole per gli alberi.
Quando ero piccola e papà mi portava per funghi non c’era verso che ne trovassi uno, dato che vagavo costantemente con la testa per aria, come ipnotizzata dalle forme strane dei rami, dai disegni che credevo di intravvedere nelle cortecce, dalle foglie tutte diverse tra loro. In compenso, pretendevo che mi dicesse il nome di ognuno di quei giganti che esercitavano tanto fascino su di me e che mi insegnasse a distinguerli in base alla forma delle loro bellissime foglie.
Da più grande, non trascorreva vacanza senza che i miei si lamentassero di non potermi lasciare per dieci minuti la macchina fotografica senza ritrovarsi con almeno un centinaio di foto dei miei cari amici.
Quanto agli alberi della mia infanzia nel bosco dietro casa, col tempo ho imparato a riconoscerli e a distinguerne le più piccole sfumature, sapendo esattamente a quali rami posso appigliarmi per cercare sostegno nei punti più scoscesi e complicati del sentiero.
Arrivata qui a Cardiff, poi, scoprire che c’era un albero proprio davanti alla mia finestra mi ha resa felicissima.
Sono passati tanti anni, tuttavia ci sono poche cose che riescono a darmi pace come una passeggiata in un bosco, a respirare l’odore di legno, resina, terra bagnata.
Chiudo gli occhi, ascolto il rumore del vento tra le foglie, e cerco di fissare un momento del genere per ricordarmene quando dimentico che le cose semplici sono sempre quelle che mi danno di più.